Sanatoria incrociata sui decentrati
6 Marzo 2017 - Il Sole 24 Ore - Enti Locali & PA
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
Scomparsa la sanatoria sui fondi per il salario accessorio presente nelle prime bozze, dal decreto legislativo con la riforma del pubblico impiego spunta una rateizzazione più morbida per chi ha “sbagliato” a quantificare le risorse per la contrattazione decentrata. Il testo trasmesso al Parlamento non concede sconti per gli enti che superano i vincoli finanziari collegati al merito, e conferma l’obbligo di recupero a fronte dell’accertamento di violazioni da parte della Corte dei Conti, della Ragioneria generale o della Funzione pubblica.
L’attuale articolo 40, comma 3-quinquies, del decreto legislativo 165/2001 prevede il rientro nella sessione negoziale successiva, anche se di fatto l’articolo 4 del decreto legge 16/2014 (il cosiddetto “salva-Roma”) consente una rateizzazione per un numero di anni pari a quello in cui si è riscontrato l’errore. Con l’entrata in vigore del decreto attuativo della riforma, se il testo passerà così l’esame di Parlamento, Consiglio di Stato ed enti territoriali, questo termine verrà ulteriormente allungato qualora la quota annuale dovesse superare il 25% del fondo.
Il nodo dell’entrat in vigore
A questo punto nasce il primo problema, in quanto l’ultimo periodo del comma 3-quinquies rinvia l’entrata in vigore della disposizione alla sottoscrizione del prossimo contratto nazionale. Ad ogni buon conto la questione potrebbe trovare una soluzione perché lo stesso schema di decreto modifica anche l’articolo 4 del salva-Roma creando un testo normativo parallelo e sostanzialmente identico a quello appena descritto. Il Dl 16/2016 è immediatamente applicabile, ma dopo la sottoscrizione del prossimo contratto nazionale ci saranno due norme che regolamentano la stessa fattispecie. Anche successivamente a questa modifica non si capisce come si debbano comportare gli enti che hanno spinto troppo sugli utilizzi stabili dei fondi e quindi non hanno a disposizione risorse sufficienti per ammortizzare le somme contestate in sede ispettiva.
La legge di conversione del Milleproroghe
L’accanimento del legislatore sul punto è ulteriormente accentuato dalla legge di conversione del Milleproroghe, che interviene ancora sull’articolo 4 del salva-Roma introducendo la possibilità di allungare i piani di recupero in essere alla data di entrata in vigore della norma per un periodo non superiore a cinque anni. La dilazione è concessa solo alle amministrazioni che abbiano già adottato «misure di contenimento della spesa per il personale» che devono necessariamente aggiungersi al piano di rientro. La condizione è obbligatoria per tutte le Regioni e per i Comuni che non rispettano il rapporto dipendenti-popolazione previsto per gli enti dissestati. Ci si chiede se le amministrazioni “virtuose” possano accedere agli ulteriori cinque anni; la risposta sembrerebbe negativa. Non è finita, la dilazione è concessa al verificarsi congiuntamente di altre due condizioni: il risparmio nei piani di razionalizzazione deve essere garantito e l’ente deve conseguire «ulteriori riduzioni di spesa» (non specifica di personale) a valere anche su altri settori, comprese le società e enti controllati.
La proroga dei piani di recupero
Se mai fosse possibile complicare maggiormente questo groviglio, il comma 3-quinquies che uscirà dalla riforma prevede anche la possibilità di «proroga dei piani di recupero ai sensi della legislazione vigente». A cosa si fa riferimento se il quadro normativo è quello sopra descritto? Forse la disposizione si riferisce al caso speciale previsto nel Milleproroghe che concede gli ulteriori cinque anni, ma questa è una deroga che si applica solo agli enti che hanno in essere un recupero al 28 febbraio.
Forse potrà consolare il fatto che con i prossimi contratti è prevista la semplificazione della disciplina sulla dotazione e sull’utilizzo dei fondi per la contrattazione collettiva. Nel frattempo dal 2017 viene introdotto un nuovo blocco del trattamento accessorio che non potrà superare quello destinato nel 2016. Al contrario, sembra cancellata la riduzione in base ai dipendenti cessati.
A che cosa serve tutto questo? La risposta dovrebbe essere quella di rendere più lineare il processo creando un percorso agevolato per la risoluzione degli errori commessi in passato. A ben vedere però l’impianto normativo di fatto toglie ogni sanzione diretta a chi non rispetta i vincoli finanziari: perché si dovrebbero adottare oggi comportamenti prudenti in sede di quantificazione delle risorse aggiuntive se l’unico rischio è quello di recuperare domani sui fondi futuri e solo in caso di verifica? E come tutti sanno la politica vive dell’oggi.
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