Assunzioni, non convince il calcolo dei resti proposto dalla sezione Lombardia
21 Marzo 2017 - Il Sole 24 Ore - Enti Locali & PA
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
Fantasiosa, ma nel contempo poco convincente, la posizione espressa dalla Corte dei conti Lombardia sul calcolo dei resti utilizzabili nel programmare le assunzioni.
Il problema nasce dall'applicazione della norma che consente agli enti locali di utilizzare i residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facoltà assunzionali riferite al triennio precedente (articolo 3, comma 5, Dl 90/2014, modificato dall'articolo 4, comma 3, Dl 78/2015).
La norma
Il dettato normativo sembrava chiaro: si possono utilizzare le facoltà assunzionali non esaurite nel triennio precedente, con riferimento alla quantificazione avvenuta anno per anno. La Corte dei conti Lombardia, nella deliberazione del 15 febbraio 2017 n. 23 afferma che i resti vanno ricalcolati secondo la percentuale di sostituzione in vigore nel momento in cui si intende avviare la procedura di assunzione.
Appare subito evidente la contraddizione: per poter iniziare l'iter che porta al reclutamento di nuovo personale si deve aver quantificato l'ammontare delle facoltà assunzionali complessive a disposizione, date dalle cessazioni dell'anno precedente per la percentuale di sostituzione e dai resti del triennio precedente. Ma per determinare i resti è necessario sapere quando si procederà a nuove assunzioni.
Il circolo è vizioso. Ma la faccenda si complica ulteriormente qualora i resti derivino da un parziale utilizzo delle facoltà assunzionali dei tre anni precedenti. In questo caso, infatti, secondo i magistrati contabili milanesi si devono rifare i conti, utilizzando le percentuali di oggi. Quindi, se nel 2014 il Comune ha avuto cessazioni per 100, poteva assumere per 60 (percentuale di sostituzione del 60%), ha utilizzato le facoltà assunzionali per 40 e ne sono avanzate 20. Decidendo di assumere oggi, dovrebbe riquantificare il resto applicando, secondo la regola generale, il 25% in luogo del 60%.
Si riportano, quindi, non tanto le facoltà assunzionali, ma i risparmi da cessazioni non utlizzati. Il giochino può essere svantaggioso, ma può portare anche benefici: l'amministrazione con meno di 10mila abitanti e rapporto dipendenti/popolazione inferiore a quello previsto per gli enti dissestati applicherebbe la percentuale del 75% anche sui resti.
L’avvio della procedura
Un altro grosso problema che deriva dalla posizione espressa nella deliberazione 23/2017 della sezione Lombardia sta nell’individuazione del momento in cui «si intende avviare la procedura di assunzione».
Subito il pensiero corre alla programmazione triennale del fabbisogno di personale, ma la tesi è smontata leggendo l'articolo 35, comma 4, del Dlgs 165/2001, dove si prevede che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate dagli enti sulla base di quella pianificazione, intendendo, quindi, che le decisioni siano successive alla programmazione. Anche l'individuazione di momenti diversi presta il fianco a numerose critiche. Cosa consegue a tutto ciò? Ulteriore caos, di cui non si avvertiva alcun bisogno.