Contributi agli amministratori liberi professionisti, ecco la mappa dei costi per gli enti locali dopo la Cassazione
06 Ottobre 2023 - Il Sole 24 Ore – Norme & Tributi+ Enti Locali - di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
In breve
Quanto potrebbe costare alle casse dell’ente locale questo cambio di orientamento
L’ordinanza della Cassazione n. 24615/2023 sta mettendo in subbuglio gli enti locali alle prese con la prima pronuncia relativa alla contribuzione di sindaci e assessori, questi ultimi negli enti con più di 10.000 abitanti, che svolgono un’attività di lavoro autonomo o libero professionale. Secondo la Suprema Corte l’Amministrazione deve versare i contributi minimali anche se non hanno sospeso l’attività di lavoro autonomo (Nt+ Enti locali & edilizia del 3 ottobre).
Il principio si pone, come troppo spesso sta accadendo, in contrasto con una prassi consolidata che abbraccia sia i pareri della Corte dei conti, sezione consultiva, che il ministero dell’Interno, per i quali conditio sine qua non era proprio la richiamata sospensione in analogia all’aspettativa non retribuita prevista per gli amministratori lavoratori dipendenti.
E fin qui il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Ma ora iniziano i problemi pratici.
Quanto potrebbe costare alle casse dell’ente locale questo cambio di orientamento? Per rispondere a questa domanda si deve capire che tipo di lavoro autonomo svolge il sindaco e l’assessore per determinare il contributo soggettivo minimo. Per dare un ordine di grandezza, relativo al 2023, per gli avvocati è pari a 3.185 euro e per i commercialisti ammonta a 2.825 euro. Importo non lontano dai consulenti del lavoro (2.309) e dagli ingegneri e architetti (2.475). Decisamente più elevato per gli artigiani e commercianti (4.200 euro) e per gli iscritti alla gestione separata per i quali si può arrivare fino a 6.131,65.
Con una variabilità così elevata è chiaro che risulta difficile fare un calcolo preciso. Si potrebbe pensare a un ente tra i 20 e i 30.000 abitanti con Sindaco e quattro assessori lavoratori autonomi con un minimale contributivo medio di 3.500 euro l’anno. Il costo complessivo ammonterebbe 17.500 euro. Ipotizzando una prescrizione quinquennale, il costo complessivo per questo ente arriverebbe a 87.500 euro; una cifra che può mettere in difficoltà la chiusura del bilancio. Ma non è finita perché la vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale de L’Aquila, la n. 495 e 495/2015, che condannava l’ente «a versare alla Cassa Forense (…) la somma forfettaria prevista» dalla normativa vigente. Quindi l’amministrazione starebbe versando in ritardo dei contributi e quindi si potrebbe veder addebitate le sanzioni. Queste ultime potrebbero anche non essere secondarie se fossero qualificate come evasione contributiva. Chiaramente, nello specifico, si potrà invocare il dubbio interpretativo nell’applicazione della norma (quantomeno fino alla data della sentenza in commento). Per il nostro comune preso ad esempio sarà quindi opportuno cominciare, quantomeno, a mettere del fieno in cascina.
Una obiezione che è lecito avanzare consiste nel fatto che la sentenza ha valore tra le parti e che vige il divieto di estensione del giudicato. Quindi cosa si deve fare? Questo è un quesito che purtroppo non ha risposta.
Si potrebbe attendere una istanza formale dell’interessato per poi decidere se resistere in giudizio o assecondare la richiesta. Oppure ci si potrebbe fare parte attiva per sistemare il prima possibile le posizioni al fine di ridurre gli effetti negativi. Se la paura del danno erariale è ormai il leitmotiv dei dirigenti, in questo caso sembra quantomeno improbabile che il procuratore possa dimostrare la colpa grave in un contrasto così evidente tra organi dello Stato. E questo qualunque soluzione si adottasse.
Forse, come spesso accade, la soluzione migliore è quella di attendere per vedere come si evolverà questo tema, ma non senza accantonare a bilancio le necessarie risorse per il futuro.
Chissà che il legislatore non ci metta mano una volta per sempre.