Le principali novità in tema di personale degli Enti locali
Giugno 2017 - AziendItalia - Il PERSONALE
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
Esperti in gestione e organizzazione delle risorse umane nella Pubblica Amministrazione
Come ogni anno l'appuntamento con la legge di stabilità rappresenta l'occasione per interventi
di manutenzione della normativa che disciplina la gestione delle risorse umane della Pubblica
Amministrazione. In verità, quella di quest'anno, formata da un solo articolo e da 1.181 commi,
si è limitata ad alcuni ritocchi riguardanti categorie particolari di dipendenti, con l'eccezione di
poche norme, di maggiore portata. Queste ultime, però, sono rimaste più manifestazioni di intenti
che effettivi sconvolgimenti del panorama normativo. Vengono, di seguito, analizzati i commi
che hanno i maggiori riflessi nella disciplina del lavoro pubblico, riportando, da ultimo, anche
quelli di minore impatto.
I maggiori riflessi della legge nella
disciplina del lavoro pubblico
Comma 526: gli incentivi per le funzioni tecniche: sdoganamento con tanti dubbi
526. All'articolo 113 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è aggiunto, in fine, il seguente
comma: “5-bis. Gli incentivi di cui al presente articolo fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e
forniture”.
Per capire la portata è necessario ripercorre l'excursus
della regolamentazione dei compensi in questioni,
partendo dai vecchi incentivi per la progettazione
(anche detti compensi Merloni) e arrivando
agli attuali incentivi per le funzioni tecniche.
Fino al 18 aprile 2016 era in vigore l'abrogato "Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE.", approvato con D.Lgs. n. 163/2006
e s.m.i.. All'art. 93, comma 7-ter, nel disciplinare i
soggetti destinatari dei benefici economici, la norma
elencava: "il responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché
tra i loro collaboratori". Relativamente a questo
aspetto, nulla era variato con le modifiche intervenute
ad opera dell'art. 13-bis, comma 1, del D.L. n.
90/2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge
n. 114/1990, che pure era intervenuto in maniera
massiccia in argomento, facendo transitare la disciplina
dei compensi dall'art. 92, comma 5, all'art.
93, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 163/2006. Sulla base
dei soggetti ai quali potevano, teoricamente, essere
corrisposti gli incentivi, la Corte dei conti, sezioni
Riunite, con la deliberazione n. 51/2011, aveva
statuito:
"tra le risorse incentivanti indicate dalla Sezione di controllo per la Regione Lombardia che ha formulato la questione deferita solo quelle destinate
a remunerare prestazioni professionali per la progettazione di opere pubbliche e quelle dell’avvocatura interna devono ritenersi
escluse dall’ambito applicativo dell’art. 9, comma 2-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78."
La legge di bilancio 2018
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L'esclusione era sorretta dalla seguente motivazione:
"... le sole risorse di alimentazione dei fondi da ritenere non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 9, comma 2-bis, sono solo quelle
destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso
il ricorso all’esterno dell’amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli Enti.
...omissis...
Detta caratteristica ricorre per quelle risorse finalizzate a incentivare prestazioni poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, in
quanto in tal caso si tratta all’evidenza di risorse correlate allo svolgimento di prestazioni professionali specialistiche offerte da personale
qualificato in servizio presso l’amministrazione pubblica; peraltro, laddove le amministrazioni pubbliche non disponessero di personale interno
qualificato, dovrebbero ricorrere al mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni con possibili aggravi di costi per il bilancio dell’ente
interessato. Deve aggiungersi, con specifico riferimento a tale tipologia di prestazione professionale, che essa afferisca ad attività sostanzialmente
finalizzata ad investimenti."
Dal 19 aprile 2016, entra in vigore il "Codice dei
contratti pubblici", approvato con D.Lgs. n. 50/2016
e la disciplina varia radicalmente. L'art. 113, al comma
3, prevede che i compensi siano suddivisi:
"tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al comma 2 nonché tra i loro collaboratori"
e le funzioni indicate al comma 2 sono "attività di programmazione della spesa per investimenti, di valutazione preventiva dei progetti, di
predisposizione e di controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, di RUP, di direzione dei lavori ovvero direzione
dell'esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire
l'esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti".
Cambiati i destinatari, alla luce delle motivazioni
in allora portate, si è posto il problema se tali compensi
fossero ancora esclusi dal tetto al salario accessorio,
nel frattempo trasmigrato nell'art. 1, comma
236, della Legge n. 208/2015. Al quesito ha risposto
la sezione delle Autonomie della Corte dei
conti, con la delibera n. 7/2017, nella quale si legge
che:
"Nel caso di specie, non si ravvisano poi, gli ulteriori presupposti delineati dalle Sezioni riunite (nella richiamata delibera n. 51/2011), per
escludere gli incentivi di cui trattasi dal limite del tetto di spesa per i trattamenti accessori del personale dipendente in quanto essi non vanno
a remunerare “prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati e individuabili” acquisibili anche attraverso il ricorso a personale
esterno alla P.A., come risulta anche dal chiaro disposto dell’art. 113, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016.".
Appare evidente la conclusione:
"Gli incentivi per funzioni tecniche di cui all’articolo 113, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016 sono da includere nel tetto dei trattamenti accessori
di cui all’articolo 1, comma 236, legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016)”.
La pronuncia ha buttato nello scompiglio la gestione
delle risorse umane nelle amministrazioni. Inserire
nel tetto alle risorse decentrate (nel frattempo
riproposto dall'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n.
75/2017) significava avere a disposizione le stesse
risorse da destinare ad una forma di incentivo in
più, per l'appunto i compensi per le funzioni tecniche.
Giocoforza, questo significava dover ridurre le
somme destinate alla performance. Le amministrazioni
erano obbligate, quindi, a decidere se ricompensare
i tecnici o il resto dei dipendenti. Di fronte
ad una situazione così imbarazzante, generalmente
le organizzazioni sindacali si sono rifiutate
di sottoscrivere contratti collettivi decentrati integrativi.
Da qui i vari tentativi di trovare una soluzione
al problema, soluzione che doveva essere, indubbiamente,
di tipo normativo. In più occasioni
si tenta, invano, di inserire una disposizione che
definisse la questione, finché si arriva all'approvazione,
in sede di definizione della Legge di stabilità
2018, di un emendamento presentato dall'On. Fabbri,
il quale ha raccolto una proposta avanzata dall'UNITEL
(Unione Italiana Tecnici Enti Locali).
Si arriva così al comma 526, secondo il quale, come
detto, i compensi per le funzioni tecniche fanno
capo al medesimo capitolo previsto dai singoli
lavori, servizi e forniture. Esulta la suddetta Unione,
la quale, sul proprio sito, riporta la propria soddisfazione.
"Questo significa che con l'approvazione
dell'emendamento UNITEL gli incentivi per le funzioni
tecniche vengono esclusi dal tetto del salario accessorio
del personale degli EE.LL. e ciò in coerenza con le
interpretazioni della Corte dei conti fino al 2015".
L'assunto dovrebbe essere il seguente: se i compensi
in questione fanno capo agli stessi capitoli dell'opera
non possono più essere imputati al fondo per
le risorse decentrate e, quindi, sono esclusi dal
blocco di cui all'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n.
75/2017. In soccorso di tale posizione può tornare
utile la posizione espressa dalla Corte dei conti, se-
La legge di bilancio 2018
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zione delle Autonomie, con la deliberazione n.
16/2009, quando, partendo da tale assunto, ne ha
statuito l'esclusione dai vincoli alla spesa di personale
di cui ai commi 557 e 562 dell'art. 1 della
Legge n. 296/2006.
È evidente che questa può essere una delle interpretazioni
possibili, che conserva un significato alla
modifica normativa. Ma tale interpretazione presenta
il fianco quantomeno a tre aspetti critici:
1) già in passato i compensi per la progettazione
erano considerati fra le spese inerenti la realizzazione
dell'opera e, nel momento della liquidazione ai
dipendenti, questi transitavano dal capitolo degli
investimenti a quello del fondo per le risorse decentrate.
Ciò non ha impedito alla Sezione delle
Autonomie della Corte dei conti di pronunciarsi
per l'inclusione nel tetto del fondo. È da evidenziare,
inoltre, che rimangono tuttora vigenti gli articoli
15 e 17 del Ccnl del comparto Regioni e
Autonomie Locali del 1° aprile 1999, dove si prevede,
nell'ambito della quantificazione delle "risorse
per le politiche di sviluppo delle risorse umane e
la produttività", e nel loro utilizzo, che confluiscano
le somme "che specifiche disposizioni di legge finalizzano
alla incentivazione di prestazioni o di risultati
del personale" (art. 15, comma 1, lett. k). Non essendo
state abrogate le suddette disposizioni, i
compensi in commento dovrebbero, in ogni caso,
transitare per il fondo e, di conseguenza, non è
escluso che il meccanismo in precedenza usato possa
essere riproposto. Di conseguenza, i compensi
per le funzioni tecniche rientrerebbero comunque
nel fondo;
2) resta indubbio che la natura dei compensi in
questione non può essere ricondotta al trattamento
economico fondamentale e, pertanto, gli stessi fanno
parte del salario accessorio. L'orientamento costante
della Corte dei conti vede l'assoggettamento
al tetto di cui all'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n.
75/2017 di tutte le voci di detto salario accessorio,
indipendentemente dalla loro imputazione, sul bilancio
anziché sul relativo fondo. Un esempio è
rappresentato dalla retribuzione di posizione e di risultato
dei titolari di posizione organizzativa negli
enti privi di dirigenza. Gli artt. 10 e 11 del Ccnl
del 31 marzo 1999 qualificano tali voci come trattamento
accessorio e, combinando questa previsione
con il contenuto letterale del predetto art. 23,
la Corte dei conti, sezione delle Autonomie, con
la deliberazione n. 26/2014 ha stabilito che anche
la succitata retribuzione di posizione e di risultato
è soggetta al limite del salario accessorio. Parimenti
in tema di straordinario. Pur essendo previsto
uno specifico fondo (art. 14 del Ccnl 1° aprile
1999), la Corte dei conti, sezione regionale per la
Lombardia, con le deliberazioni n. 423/2012 e n.
379/2015, si è pronunciata per l'applicazione dei
vincoli previsti dalle norme succedutesi nel tempo
per il succitato salario accessorio;
3) i dubbi sopra espressi si fanno ancora più fondati
se si leggono i dossier pubblicati lo scorso mese di
dicembre a commento della legge di stabilità 2018
ad opera della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica. Sia in quello riguardante la "Sintesi
degli emendamenti approvati dalla V Commissione
Bilancio" che ne "Le modifiche approvate
dalla Camera dei Deputati", a commento del nuovo
comma 526, si legge:
"In merito, per approfondire la tematica relativa al computo della spesa per il personale della PA per tali incentivi, si rinvia a due recenti deliberazioni
della Corte dei conti, la Deliberazione n. 58/2017 della sezione ligure e la deliberazione 7/17 della sezione autonomie".
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, si ritiene
che l'interpretazione proposta dall'UNITEL
abbia la medesima probabilità di essere confermata
ovvero di essere smentita dagli organi istituzionali
che saranno certamente investiti della questione.
Come al solito, di fronte a questa vicenda, non si
comprende come mai il legislatore non si sia
espresso con una semplice norma che escludesse
dall'applicazione dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs.
n. 75/2017 i compensi previsti dall'art. 113 del
D.Lgs. n. 50/2016, anziché costringere a percorsi
arzigogolati per arrivare allo stesso risultato.
Comma 863: le assunzioni negli Enti locali: un'apertura per i piccoli comuni
863. All'articolo 1, comma 228, terzo periodo, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, le parole: «tra 1.000 e 3.000» sono sostituite dalle
seguenti: “tra 1.000 e 5.000”.
Come spesso succede, è necessario procedere alla
lettura del testo della norma di riferimento, coordinato
con la modifica. Il predetto comma 228, oggi
vigente, dispone che:
La legge di bilancio 2018
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"Le amministrazioni di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
agosto 2014, n. 114, e successive modificazioni, possono procedere, per gli anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a tempo
indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una
spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente. Ferme restando le facoltà assunzionali
previste dall'articolo 1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per gli enti che nell'anno 2015 non erano sottoposti alla disciplina
del patto di stabilità interno, qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell'anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendentipopolazione
per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell'interno di cui all'articolo 263, comma 2,
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la percentuale stabilita al periodo precedente è innalzata al 75 per cento
nei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, per gli anni 2017 e 2018. Per i comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000
abitanti che rilevano nell'anno precedente una spesa per il personale inferiore al 24 per cento della media delle entrate correnti registrate
nei conti consuntivi dell'ultimo triennio, la predetta percentuale è innalzata al 100 per cento. Fermi restando l'equilibrio di bilancio di cui ai
commi 707 e seguenti del presente articolo e il parametro di spesa del personale di cui all'articolo 1, comma 557-quater, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, per le regioni che rilevano nell'anno precedente una spesa per il personale inferiore al 12 per cento del titolo primo
delle entrate correnti, considerate al netto di quelle a destinazione vincolata, la percentuale stabilita al primo periodo è innalzata, per gli anni
2017 e 2018, al 75 per cento. In relazione a quanto previsto dal primo periodo del presente comma, al solo fine di definire il processo di
mobilità del personale degli enti di area vasta destinato a funzioni non fondamentali, come individuato dall'articolo 1, comma 421, della citata
legge n. 190 del 2014, restano ferme le percentuali stabilite dall'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Il comma 5-quater dell'articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è disapplicato con riferimento agli anni 2017 e 2018".
In pratica, in tale comma troviamo la disciplina
completa che riguarda le assunzioni del personale
non dirigente degli Enti locali che erano soggetti
al patto di stabilità, oggi saldi. Sostanzialmente tale
normativa si può così riassumere:
1) la regola generale prevede che i predetti enti locali
possano assumere, nel 2018, nel limite del
25% della spesa relativa al personale, sempre di
qualifica non dirigenziale, cessato l'anno precedente.
Per gli anni 2019 e 2020, in sede di predisposizione
del piano triennale dei fabbisogni di personale,
di cui all'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n.
165/2001, le medesime amministrazioni, venendo
meno le previsioni di cui sopra in quanto applicabile
solo nel biennio 2017/2018, devono far riferimento
all'art. 3, comma 5, del Dl. n. 90/2014, il
quale prevede che la predetta percentuale fosse,
per gli anni sopra indicati, pari al 100%, sempre riferita
alla spesa del personale cessato nell'anno precedente;
2) una prima eccezione alla regola è rappresentata
dalle amministrazioni locali con popolazione superiore
a 1.000 abitanti, nelle quali viene rispettato
il rapporto fra dipendenti e popolazione stabilito
dal Decreto Ministeriale previsto dall'art. 263,
comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, vale a dire quello
vigente per gli enti dissestati. In tali amministrazioni
la facoltà assunzionale sale al 75% della spesa
del personale cessato l'anno precedente. La deroga,
ovviamente, vale solo per l'anno 2018, essendo già
prevista, a regime, una maggiore percentuale per
gli anni seguenti.
Il decreto a cui fa riferimento la norma è da individuarsi
nel D.M. 10 aprile 2017, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 22 aprile 2017, il quale fissa,
per i Comuni, i seguenti rapporti validi per il triennio
2017/2019:
Fascia demografica Rapporto medio
dipendenti-popolazione
fino a 499 abitanti 1/59
da 500 a 999 abitanti 1/106
da 1.000 a 1.999 abitanti 1/128
da 2.000 a 2.999 abitanti 1/142
da 3.000 a 4.999 abitanti 1/150
da 5.000 a 9.999 abitanti 1/159
da 10.000 a 19.999 abitanti 1/158
da 20.000 a 59.999 abitanti 1/146
da 60.000 a 99.999 abitanti 1/126
da 100.000 a 249.999 abitanti 1/116
da 250.000 a 499.999 abitanti 1/89
da 500.000 abitanti e oltre 1/84
Quindi, l’ente che, oltre a rispettare le condizioni
generali che consentono di effettuare le assunzioni,
rientri nel rapporto sopra indicato, con riferimento
all’anno precedente, può assumere nel limite del
75% della spesa relativa alle cessazioni sempre dell’anno
precedente, se ha una popolazione superiore
a 1.000 abitanti. In relazione al momento in cui si
debba calcolare il rapporto fra numero di dipendenti
e popolazione, si ritiene che debba individuarsi,
quale data, il 31 dicembre dell'anno precedente.
In tal senso si è espressa la Corte dei conti
per il Piemonte, con la deliberazione 29 novembre
2016, n. 136/2016.
Al contrario, con riferimento al momento nel quale
si debba valutare se la popolazione sia superiore
a 1.000 abitanti, si ritiene, in assenza di indicazioni,
che si debba ricorrere alla regola generale contenuta
nell'art. 156, comma 2, del D.Lgs. n.
267/2000, valida anche per l'applicazione delle
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norme in materia di dissesto finanziario. Tale disposizione
indica, quale anno di riferimento per la
determinazione della popolazione, la penultima annualità
precedente l'anno considerato. Come momento,
si ritiene che, anche in questo caso, si debba
considerare la consistenza al 31 dicembre. In sostanza,
quindi, per verificare se, nel 2018, il Comune
possa beneficiare della percentuale del 75% ai
fini delle assunzioni, occorre calcolare il rapporto
dipendenti/popolazione con riferimento al 31 dicembre
2017, mentre per verificare se la popolazione
era superiore a 1.000 abitanti è necessario calcolare
il numero degli abitanti al 31 dicembre
2016.
3) un'ulteriore deroga è rappresentata dalla disposizione
modificata dalla legge di stabilità 2018. Nei
comuni con popolazione compresa fra 1.000 e
5.000 abitanti (prima della Legge n. 205/2017, tale
limite si fermava a 3.000 abitanti) e un rapporto
fra spesa di personale e media delle entrate correnti
dell'ultimo triennio, rilevabili dai rispettivi conti
consuntivi, già dall'anno 2018 la percentuale di sostituzione
è pari al 100%.
Due sono le problematiche applicative del caso in
esame. La prima riguarda la nozione di "spesa di
personale" da utilizzare per il calcolo del rapporto.
A questo proposito, non si può che fare riferimento
alla pronuncia delle sezioni Riunite della Corte dei
conti n. 27/CONTR/2011, in quanto, in detta deliberazione,
si leggeva che, in relazione alla spesa
di personale "la nozione suddetta può avere a riferimento
a finalità conoscitive e di controllo degli aggregati
di finanza pubblica (es. conto annuale); a finalità di
trasparenza gestionale, ovvero, come nel caso in esame,
per un motivo più specifico che si connette ai livelli
assunzionali considerati in relazione alla situazione di
equilibrio del bilancio dell'ente e agli obiettivi del coordinamento
finanziario". Ciò posto, a proposito del
calcolo del rapporto fra spesa di personale e spesa
corrente previsto dall'allora vigente art. 76, comma
7, del D.L. n. 112/2008, la Corte aveva affermato
che si doveva partire dalla nozione di spesa di personale,
di cui al comma 557 dell'art. 1 della Legge
n. 296/2006. Quindi "La verifica del rispetto degli indici
di incidenza tra le spese di personale e la spesa corrente,
deve quindi essere effettuata considerando l'aggregato
spesa di personale al lordo di tutte le voci escluse".
In sostanza, quindi, la spesa di personale da
rapportare, allora, alla spesa corrente andava quantificata
secondo le regole per la determinazione
della medesima spesa ai sensi del comma 557, sopra
citato, ma nella quantificazione non andava
operata alcuna esclusione. Tale interpretazione è
stata mantenuta anche per l'applicazione di norme
successive che imponevano il calcolo del rapporto
fra spese di personale e spesa corrente (vedasi, ad
esempio, Corte dei conti, sezione delle Autonomie,
deliberazione 4 maggio 2016, n. 16/SEZAUT/
2016).
La seconda questione riguarda il periodo di riferimento
delle quantità da rapportare. Sempre nella
delibera della Corte dei conti n. 27/CONTR/2011,
alla lett. e) della pronuncia, i magistrati contabili
evidenziano che:
"Per la verifica del limite della spesa di personale, da raffrontarsi alla spesa corrente, è necessario far riferimento al dato degli impegni, dato
derivante dalla effettiva gestione del bilancio e suscettibile di riscontro, da desumere dal documento contabile ufficiale del precedente esercizio
e quindi dal rendiconto approvato dal Consiglio, salvo che, in presenza di esigenze particolari di procedere ad assunzioni prima dell'approvazione
del documento ufficiale, sia necessario - ferma restando la necessità di ancorare il parametro ai dati del rendiconto - fare riferimento
a documenti quali lo schema di rendiconto approvato dalla giunta o quello predisposto dagli uffici."
Si può, quindi, concludere che i dati vanno riferiti
all'anno precedente a quello nel quale le assunzioni
debbono essere effettuate.
Considerato che il denominatore del rapporto è il
medesimo (sempre la spesa di personale), si ritiene
che oggi possa farsi riferimento alla stessa quantità
allora rapportabile alla spesa corrente e attualmente
confrontabile con la media delle entrate correnti
dell'ultimo triennio.
Al fine di completare il quadro delle assunzioni, si
evidenzia che:
1) per gli enti che, nel 2015, non erano soggetti al
patto di stabilità, le capacità assunzionali sono pari
al 100% delle cessazioni intervenute nell'anno precedente
e le spese di personale, al lordo degli oneri
riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP,
con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali,
non devono superare il corrispondente
ammontare dell'anno 2008 (art. 1, comma 562,
Legge n. 296/2006);
2) nei comuni che erano soggetti al patto di stabilità,
oggi ai saldi, le assunzioni di personale dirigente
avviene nel limite del 100% della spesa per cessazioni
di dipendenti, sempre di qualifica dirigenziale,
avvenute nell'anno precedente.
La legge di bilancio 2018
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Commi 844-847: assunzioni presso le province e le città metropolitane: un'attesa apertura
844. Ferma restando la rideterminazione delle dotazioni organiche nei limiti di spesa di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 23 dicembre
2014, n. 190, ai fini del ripristino delle capacità di assunzione, le città metropolitane e le province delle regioni a statuto ordinario
definiscono un piano di riassetto organizzativo finalizzato ad un ottimale esercizio delle funzioni fondamentali previste dalla legge 7
aprile 2014, n. 56.
845. A decorrere dall'anno 2018, le province delle regioni a statuto ordinario possono procedere, nel limite della dotazione organica di
cui al comma 844 e di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari al 100 per cento di quella relativa
al personale di ruolo cessato nell'anno precedente, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, da destinarsi prioritariamente
alle attività in materia di viabilità e di edilizia scolastica, solo se l'importo delle spese complessive di personale, al lordo degli oneri riflessi
a carico dell'amministrazione, non supera il 20 per cento delle entrate correnti relative ai titoli I, II e III. Per le restanti province, la percentuale
assunzionale stabilita al periodo precedente è fissata al 25 per cento. É consentito l'utilizzo dei resti delle quote percentuali assunzionali
come definite dal presente comma riferite a cessazioni di personale intervenute nel triennio precedente non interessato dai
processi di ricollocazione di cui all'articolo 1, commi da 422 a 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Nell'anno 2018, le città metropolitane
possono procedere, nei termini previsti dal presente comma, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel rispetto dei
limiti di spesa definiti in applicazione del citato articolo 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014.
846. Il comma 9 dell'articolo 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135,
le lettere da c) a g) del comma 420 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e il comma 5 dell'articolo 22 del decreto-legge
24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, sono abrogati.
847. Le province delle regioni a statuto ordinario possono avvalersi di personale con rapporto di lavoro flessibile nel limite del 25 per
cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.
Dopo anni di blocco delle assunzioni nelle province
e nelle città metropolitane, il legislatore prende
atto della parziale riuscita della riforma che interessava
tali enti e, quindi, autorizza nuovi reclutamenti
di personale. Si parte dal quadro normativo in
essere, vale a dire la dotazione organica prevista
dall'art. 1, comma 421, della Legge n. 190/2014
ovvero quella esistente alla data di entrata in vigore
della predetta legge ridotta, come minimo, al
30% per le città metropolitane e al 50% per le province;
per queste ultime, la percentuale si riduceva
al 30% quando il territorio era interamente montano
ovvero nel caso in cui erano confinanti con
Paesi stranieri. La quantità di riferimento era la
spesa di personale a tempo indeterminato.
Per poter procedere alle assunzioni concesse dalla
norma, è necessario definire un "piano di riassetto
organizzativo". La disposizione prevede la sola definizione
ma appare chiaro che lo stesso debba essere
non solo "definito" ma anche approvato dagli organi
competenti. Il piano deve avere, come finalità,
l'ottimale esercizio delle funzioni fondamentali rimaste
in capo agli enti suddetti ai sensi della Legge
n. 56/2014. In verità, non si comprende la portata
della previsione normativa. Già da tempo province
e città metropolitane hanno provveduto a razionalizzare
l'utilizzo delle risorse umane, considerato il
pesante taglio che hanno subito, sia in termini di
spesa di personale che in ordine ai trasferimenti
statali. Questi ultimi hanno obbligato ad una gestione
molto oculata al fine di poter rispettare quegli
equilibri di bilancio previsti dalla normativa vigente
e, in particolare, l'allora patto di stabilità,
oggi saldi. In secondo ordine, il quadro legislativo
attuale prevede già uno strumento di programmazione,
il piano triennale dei fabbisogni di personale,
che, come stabilisce l'art. 6, comma 2, del
D.Lgs. n. 165/2001, ha lo scopo di "ottimizzare l'impiego
delle risorse pubbliche disponibili e perseguire
obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità
e qualità dei servizi ai cittadini". Le due finalità
appaiono molto, molto simili. Non risulta chiaro
se i due documenti possano essere riassunti in
un unico atto e, quindi, se, con il piano di riassetto
organizzativo, si possa procedere anche a modifiche
della macrostruttura e della microstruttura. Stante
la flessibilità introdotta dalla riforma Madia e l'obiettivo
del predetto piano, la risposta dovrebbe essere
positiva. Qualora si proceda con l'approvazione
di un unico atto sia per il piano triennale dei
fabbisogni di personale che per il piano di riassetto
organizzativo, è evidente che si debba dar corso all'informazione
preventiva alle organizzazioni sindacali,
come previsto dal succitato art. 6.
Provveduto agli adempimenti sopra illustrati e nell'ambito
delle dotazioni organiche come sopra definite,
dal 2018 le province appartenenti a regioni a
statuto ordinario possono assumere:
- nel limite del 100% della spesa relativa alle cessazioni
intervenute nell'anno precedente, qualora il
rapporto tra le spese complessive di personale, al
lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione
e le entrate correnti relative ai primi tre titoli
del bilancio non superi il 20%. Per il calcolo della
spesa di personale si rinvia a quanto esposto a
proposito delle facoltà assunzionali dei comuni di
minori dimensioni. Si aggiunge che la norma specifica
come tale spesa debba essere al lordo degli
oneri riflessi a carico dell'amministrazione. Ancora
una volta nessuna specificazione viene indicata a
proposito dell'Irap. Inizierà l'ennesimo dibattito in
materia, già noto rispetto ad altre quantità che do-
La legge di bilancio 2018
168 Azienditalia 2/2018
vevano tener conto degli oneri riflessi. Il problema
non è di poco conto quando tale imposta rappresenta
l'ago della bilancia per applicare la percentuale
di sostituzione piena nel calcolo del budget a
disposizione per nuove assunzioni. Ancora, non risulta
chiaro a quale annualità si deve far riferimento
per il calcolo del predetto rapporto. Si potrebbe
ipotizzare sia l'anno precedente, annualità di riferimento
delle cessazioni, che l'anno in corso, annualità
dove si realizzano le assunzioni. Si ritiene necessario
un chiarimento in merito da parte degli
organi istituzionali.
Il personale reclutato deve essere destinato "prioritariamente"
alle funzioni inerenti la viabilità e l'edilizia
scolastica. Anche in questo caso non risulta
evidente il contenuto del disposto normativo. Sicuramente
non può rappresentare un obbligo in
quanto questo rappresenterebbe una invasione di
quella autonomia riconosciuta costituzionalmente
agli enti in questione. Si ritiene, quindi, che si
debba leggere alla stregua di un "suggerimento" e,
di conseguenza, nessuna sanzione dovrebbe conseguirne
in caso di mancato rispetto del dispositivo;
- nel limite del 25% della spesa relativa alle cessazioni
intervenute nell'anno precedente, per le province
che presentano un rapporto fra spesa di personale
ed entrate correnti, come sopra descritto,
superiore al 20%.
Per tutte le province delle regioni a statuto ordinario
è consentito l'utilizzo dei resti che siano riferiti
al triennio precedente e che riguardino cessazioni
di personale intervenute sempre nel triennio precedente
non interessate dai processi di ricollocazione
di cui all'articolo 1, commi da 422 a 428, della
Legge n. 190/2014. Questa è forse la parte più
oscura della norma in quanto:
- dall'entrata in vigore della predetta Legge n.
190/2014, per le province era in vigore il divieto
assoluto di procedere ad assunzioni di personale a
tempo indeterminato (art. 1, comma 420, Legge n.
190/2014). Risulta, quindi, difficile immaginare come
possa darsi origine a "resti" quando le facoltà
assunzionali erano pari a zero;
- parimenti, per il riporto dei resti, l'orientamento
costante della Corte dei conti (sezione delle Autonomie,
delibera n. 28/2015, sezione regionale per
la Sicilia, delibera n. 68/2017, sezione regionale
per la Campania, delibera n. 68/2017) ha richiesto
che le assunzioni fossero previste nella programmazione
triennale del fabbisogno di personale. Risulta
inimmaginabile che le province potessero inserire
le cessazioni in questione nei documenti di programmazione
in presenza di facoltà assunzionali azzerate.
La disposizione può avere un significato solo se alle
province sia permesso il ricalcolo delle facoltà assunzionali
relative al triennio 2015/2017 con le
percentuali contenute nella legge di stabilità 2018
e si possa prescindere dalla previsione nel piano
triennale dei fabbisogni degli anni interessati.
Le medesime disposizioni sono applicabili anche
alle città metropolitane. Parimenti, per tali amministrazioni
le assunzioni possono effettuarsi nel limite
della dotazione organica rideterminata ai sensi
dell'art. 1, comma 421, della Legge n. 190/2014
e sopra illustrata.
Ovviamente l'introduzione della possibilità di procedere,
in determinate condizioni, ad assunzioni di
personale a tempo indeterminato ha comportato la
necessità di abrogare tutte quelle norme applicabili
a province e città metropolitane che ne imponevano,
al contrario, il divieto.
Via libera anche ai rapporti di tipo flessibile. Il limite,
in questo caso, è determinato nel 25% della
spesa sostenuta nel 2009 per le medesime finalità.
In relazione a questa disposizione, si evidenziano
due particolarità:
1) la norma fa riferimento al lavoro flessibile.
Quindi, oggetto del limite non sono solo le assunzioni
a tempo determinato, ma vi rientrano tutte le
forme di lavoro flessibile di cui all'art. 36 del
D.Lgs. n. 165/2001, quali i contratti di formazione
e lavoro, i contratti di somministrazione, ecc.;
2) l'ambito soggettivo di applicazione è limitato alle
province appartenenti alle regioni a statuto ordinario.
Pertanto il comma non può applicarsi alle
città metropolitane.
Comma 1148, lett. a) - La proroga delle graduatorie: una storia infinita
“In materia di graduatorie e assunzioni presso le pubbliche amministrazioni, sono disposte le seguenti proroghe di termini:
a) l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative
alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata al 31 dicembre 2018, ferma restando la vigenza
delle stesse fino alla completa assunzione dei vincitori e, per gli idonei, l'eventuale termine di maggior durata della graduatoria ai sensi
dell'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
...omissis ”
La legge di bilancio 2018
Azienditalia 2/2018 169
Ancora una proroga della validità delle graduatorie.
Interessa quelle vigenti al 31 dicembre 2017,
vale a dire le graduatorie approvate successivamente
al 30 settembre 2003 in enti soggetti a limitazioni
in tema di assunzioni. Il percorso che porta a tale
conclusione si può così delineare:
norma di riferimento proroga validità al
art. 1, comma 4, D.L. n. 216/2011 31 dicembre 2012
art. 1, comma 338, Legge n. 228/2012 30 giugno 2013
art. 1, comma 1, lett. c), D.P.C.M. 19 giugno 2013 31 dicembre 2013
art. 4, comma 4, D.L. n. 101/2013 31 dicembre 2015
L. n. 125/2013 (di conversione del D.L. n. 101/2013) 31 dicembre 2016
art. 1, comma 368, Legge n. 232/2016 31 dicembre 2017
art. 1, comma 1.148, Legge n. 205/2017 31 dicembre 2018
È opportuno chiarire quali sono gli obblighi che
derivano dalla vigenza di una graduatoria. In proposito
si deve far riferimento all'art. 4, comma 3,
del D.L. n. 101/2013, il quale dispone:
"Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione
all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, è subordinata alla verifica:
a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi
pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente
motivate;
b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007,
relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza."
L'applicazione del predetto comma 3 alle amministrazioni
locali è prevista dall'art. 3, comma 5-ter,
del D.L. n. 90/2014, dove si legge:
"Alle amministrazioni di cui al comma 5 del presente articolo si applicano i princìpi di cui all'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 31 agosto
2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, attraverso la comunicazione al Dipartimento della funzione
pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per quanto di competenza dello stesso."
Le amministrazioni di cui al comma 5 sono, per
l'appunto, le regioni e gli enti locali sottoposti al
patto di stabilità interno, oggi saldi.
In sostanza, quindi, prima di procedere alla bandizione
di un nuovo concorso, oltre alle procedure di
mobilità previste dagli artt. 30 e 34-bis del D.Lgs.
n. 165/2001, è obbligatorio assumere:
1) i vincitori, di qualsiasi profilo professionale, per
tutte le graduatorie approvate dopo il 30 settembre
2003, che, per effetto della legge di stabilità 2018,
sono valide fino al 31 dicembre del corrente anno;
2) gli idonei, per tutte le graduatorie approvate dal
1° gennaio 2007. In questo caso si fa riferimento al
profilo professionale individuato nel piano del fabbisogno
di personale ovvero di un profilo equivalente.
Per gli idonei delle graduatorie valide (e quindi approvate
dopo il 30 settembre 2003) ma approvate
fino al 31 dicembre 2006 è facoltà dell'amministrazione
decidere se utilizzare la graduatoria ovvero
procedere con un nuovo concorso pubblico.
In tal senso si è pronunciato il Dipartimento della
Funzione Pubblica, con la circolare 21 novembre
2013, n. 5, nella quale viene affermato che:
"Sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1° gennaio 2007, c'è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento
delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali. Sulle graduatorie vigenti ma anteriori alla predetta data il vincolo non è
previsto e, quindi, la scelta dello scorrimento o dell'avvio di una nuova procedura concorsuale è rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione."
Come evidenzia la norma, la proroga riguarda i
concorsi pubblici a tempo indeterminato. Sono,
pertanto, escluse le graduatorie per le assunzioni a
tempo determinato, per le quali resta in vigore il
termine ordinario triennale previsto dall'art. 35,
comma 5-ter, del D.Lgs. n. 165/2001. Parimenti
La legge di bilancio 2018
170 Azienditalia 2/2018
non sono da ritenersi prorogate le graduatorie a
suo tempo stilate per procedere alle progressioni
verticali, nella normativa vigente prima dell'entrata
in vigore del D.Lgs. n. 150/2009. In tal senso
ancora la Funzione Pubblica, nella circolare sopra
richiamata:
"Dunque, resta fermo il principio che, per effetto del richiamato articolo 24, comma 1, del D.Lgs. 150/2009, l'utilizzo delle graduatorie relative
ai passaggi di area banditi anteriormente al 1° gennaio 2010, in applicazione della previgente disciplina normativa, è consentito al solo fine
di assumere i candidati vincitori e non anche gli idonei della procedura selettiva.
Peraltro, per l'individuazione dell'ambito oggettivo di applicazione della norma del predetto comma 3, lettera b) può essere, altresì, indicativa
la disposizione contenuta nel comma 4 dello stesso articolo 4 del D.L. 101/2013 che proroga "l'efficacia delle graduatorie dei concorsi
pubblici per assunzioni a tempo indeterminato" con evidente esclusione delle graduatorie relative a concorsi non pubblici.".
Infine, si ritiene di dover evidenziare che lo scorrimento
della graduatoria deve essere effettuato seguente
l'ordine di posizione. Se questo risulta pacifico
nel caso di graduatorie approvate dalla stessa
amministrazione, non sempre appare così scontato
quando si ricorre alla graduatoria di un altro ente.
Sempre il Dipartimento della Funzione Pubblica
nella circolare sopra richiamata, tra i principi affermati,
si legge:
"lo scorrimento delle graduatorie deve avvenire nel rispetto dell'ordine di posizione. In caso di utilizzo di graduatorie da parte di altre amministrazioni
l'assunzione avviene previo consenso del vincitore o dell'idoneo e l'eventuale rinuncia dell'interessato non determina la decadenza
dalla posizione in graduatoria per eventuali successivi utilizzi della stessa;".
La disposizione contenuta nella legge di stabilità
2018 fa, ovviamente, salva la validità ordinaria
delle graduatorie per le quali, al 31 dicembre 2018,
non sia scaduto il triennio. Così, se l'approvazione
della predetta graduatoria è avvenuta nel corso del
2017, la stessa rispetterà la validità ordinaria triennale
e scadrà nel 2020.
Comma 1148, lett. h): la proroga del divieto di stipulare contratti di collaborazione
...omissis...
All'articolo 22, comma 8, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, le parole: “1° gennaio 2018” sono sostituite dalle seguenti: “1°
gennaio 2019”.
…omissis …
A sua volta, il comma 8 dell'art. 22, sopra richiamato,
dispone che:
"Il divieto di cui all'articolo 7, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come introdotto dal presente decreto, si applica a decorrere
dal 1° gennaio 2019."
Quindi bisogno risalire al comma 5-bis, il quale,
nel testo coordinato con le modifiche, dispone:
"È fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente
personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in
violazione delle disposizioni del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione
di risultato. Resta fermo che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, non si applica
alle pubbliche amministrazioni".
In sostanza, il divieto di stipulare contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, inserito nel
D.Lgs. n. 165/2001 ad opera della riforma Madia
(art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 75/2017), viene
rinviato al 2019. Non tutte le collaborazioni sono,
però, interessate al divieto. Non sono consentite
quelle in cui:
1) le prestazioni di lavoro sono rese esclusivamente
e personalmente dal collaboratore;
2) le predette prestazioni sono continuative;
3) le modalità di esecuzione delle prestazioni è stabilita
dal committente, con particolare riferimento
ai tempi e al luogo.
In altre parole, entreranno nel divieto quelle collaborazioni
che mascherano un rapporto di lavoro
subordinato. La disposizione rappresenta un rafforzativo
della previsione da tempo contenuta nel
comma 6 del medesimo art. 7 dove si prevede che:
La legge di bilancio 2018
Azienditalia 2/2018 171
"Il ricorso ai contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo
comma come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti."
Non si può non evidenziare che tale tipo di collaborazioni
sono da sempre bandite dal nostro ordinamento.
Mentre quelle collaborazioni autenticamente
espressioni di un lavoro autonomo continuano
ad essere consentite.
Le altre principali norme di interesse
Comma 200: le assunzioni delle assistenti sociali fuori dai limiti di spesa
200. Al fine di garantire il servizio sociale professionale come funzione fondamentale dei comuni, secondo quanto stabilito dall'articolo
14, comma 27, lettera g), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e,
contestualmente, i servizi di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, a valere e nei limiti di un terzo
delle risorse di cui all'articolo 7, comma 3, del medesimo decreto legislativo attribuite a ciascun ambito territoriale, possono essere effettuate
assunzioni di assistenti sociali con rapporto di lavoro a tempo determinato, fermo restando il rispetto degli obiettivi del pareggio
di bilancio, in deroga ai vincoli di contenimento della spesa di personale di cui all'articolo 9, comma 28, del citato decreto-legge n.
78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e all'articolo 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296.
Lo scopo è sicuramente nobile: incentivare le assunzioni
di assistenti sociali per garantire la relativa
funzione fondamentale dei comuni. Nel limite
del fondo per la povertà di cui all'art. 7, comma 3,
del D.Lgs. n. 147/2017, le predette assunzioni, necessariamente
a tempo determinato, sono escluse
dai vincoli alla spesa di personale, di cui ai commi
557 e 562 dell'art. 1 della Legge n. 296/2006 e dal
tetto al lavoro flessibile, di cui all'art. 9, comma
28, del D.L. n. 78/2010. Non pare vi siano condizioni
particolari (se non la caratteristica di rapporto
a termine) per poter beneficiare di tale esclusione,
ovviamente nel limite sopra specificato.
Comma 218: i dipendenti oggetto di molestie nei luoghi di lavoro sono più tutelati
218. All'articolo 26 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 3, primo periodo, le parole: “commi 1 e 2” sono sostituite dalle seguenti: “commi 1, 2 e 2-bis”;
b) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:
“3-bis. La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste
in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto
ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa. Il licenziamento
ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo
2103 del Codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Le tutele di cui
al presente comma non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante
per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l'infondatezza della denuncia.
3-ter. I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità
fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa
e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati,
i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in
cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza.”
I dipendenti che sono oggetto di molestie, soprattutto
di carattere sessuale, vengono maggiormente
tutelati con le norme introdotte dalla legge di stabilità
2018. Innanzitutto sono considerate discriminazioni
anche i trattamenti sfavorevoli conseguenti
al fatto che il lavoratore o la lavoratrice non sia
stato/a accondiscendente a comportamenti indesiderati
con connotazione sessuale, volti a violare la
dignità e creare un clima intimidatorio. Il lavoratore
o la lavoratrice che agisce in giudizio per denunciare
tale discriminazione non può essere licenziato,
trasferito, demansionato ed essere oggetto di altre
misure dal contenuto analogo. Eventuali provvedimenti
in tal senso sono nulli. In primis i datori
di lavoro, ma anche le organizzazioni sindacali e
tutti i lavoratori e le lavoratrici devono adottare
comportamenti volti a prevenire il fenomeno delle
molestie sessuali nei luoghi di lavoro.
La legge di bilancio 2018
172 Azienditalia 2/2018
Comma 223: per gli LSU e LPU proroga in attesa di stabilizzazione
223. Per le finalità di cui all'articolo 20, comma 14, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, sono prorogate al 31 dicembre 2018,
nei limiti della spesa già sostenuta e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le convenzioni sottoscritte per l'utilizzazione
di lavoratori socialmente utili, di quelli di pubblica utilità e dei lavoratori impiegati in attività socialmente utili (ASU).
Il processo di stabilizzazione dei lavoratori socialmente
utili e dei lavoratori di pubblica utilità può
procedere nel triennio 2018/2020 e a tal fine le
convenzioni sottoscritte per l'utilizzo di tali lavoratori
sono prorogate fino al 31 dicembre 2018. La
relativa spesa non può essere incrementata come
non possono aumentare gli oneri a carico della finanza
pubblica. Non si comprende il motivo per il
quale le convenzioni sono prorogate solo fino a
tutto il 2018 quando le stabilizzazioni possono realizzarsi
fino al 2020.
Particolari disposizioni sono previste nel successivo
comma 224 per la stabilizzazione dei soggetti sopra
citati nella Regione Calabria.
Comma 682: gli oneri contrattuali restano a carico dei bilanci dell'amministrazione
682. Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri per i rinnovi
contrattuali per il triennio 2016-2018, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all'articolo
3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'articolo 48, comma
2, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001.
Viene sgomberato ogni dubbi in ordine alla possibilità
di una compartecipazione alla spesa derivante
dai rinnovi del comparto Funzioni Locali da parte
delle casse dello Stato. Come in passato, tutti
gli oneri che conseguono alla stipulazione del nuovo
Ccnl per i dipendenti di regioni ed enti locali
saranno supportati dai bilanci di queste amministrazioni,
mettendo a repentaglio i relativi equilibri.
Tale previsione è già contenuta nell'art. 48,
comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001. Si ricorda che,
per l'anno 2018, l'incremento medio dovrebbe essere
a regime e raggiungere gli 85 euro mensili così
come previsto dall'accordo fra Governo e Sindacati
dello scorso 30 novembre 2016. Per gli anni precedenti
del triennio, si fa riferimento al D.P.C.M. del
27 febbraio 2017, il quale fissa l'incremento medio
nello 0,36% del monte salari 2015 per l'anno
2016, mentre tale percentuale sale all'1,09% per
l'anno 2017.
Comma 881: le modifiche alle procedure di stabilizzazione della riforma Madia
881. All'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
“a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso
l'amministrazione che procede all'assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche
presso le amministrazioni con servizi associati”;
b) la lettera c) è sostituita dalla seguente:
“c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell'amministrazione di cui alla lettera a) che procede all'assunzione, almeno
tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.
Due le modifiche all'originaria previsione contenuta
nel D.Lgs. n. 75/2017. Con la riscrittura della
lett. a) viene ampliato il panorama degli enti presso
i quali deve risultare in servizio il dipendente assunto
con contratto a tempo determinato alla data
del 29 agosto 2015, giorno successivo l'entrata in
vigore della Legge n. 124/2015. Nella versione precedente
si limitava ad indicare l'amministrazione
che procede all'assunzione; con la modifica introdotta
dalla legge di stabilità vengono aggiunti gli
enti con servizi associati per le amministrazioni
che gestiscono funzioni in forma associata.
Con la sostituzione della lettera c) viene indicata
nel testo normativo la specificazione che l'amministrazione
alle cui dipendenze devono essere maturati
i tre anni di servizio è una di quelle previste alla
lett. a), come sopra specificato; in particolare è
quella che procede all'assunzione. In pratica anche
in questo ambito viene allargato l'ambito agli enti
che svolgono servizi associati.